Gran Bretagna, USA, ONU e nascita dello Stato israeliano

Introduzione

Il conflitto israelo-palestinese, che dura ormai da troppo tempo, si colora di molteplici elementi. Con questo lavoro ho voluto analizzare più da vicino il ruolo che hanno avuto Gran Bretagna, Stati Uniti e ONU per la nascita dello stato ebraico.

Nella prima parte viene analizzato l’importanza che ha avuto la lettera di Balfour per dar vita ad un focolare ebraico in Palestina. Successivamente viene analizzata la situazione che si è venuta a creare con le spartizioni avvenute dopo la fine della prima guerra mondiale e il successivo memorandum di Churchill.

Nella seconda parte è stata approfondita la parte che riguarda l’immigrazione degli ebrei in Terra Santa, l’ascesa di Hitler al potere e la rivolta del 1936-39.

Nell’ultima parte, infine, i fatti principali sono: la fine del mandato britannico, il ruolo fondamentale per la nascita dello stato ebraico che ha avuto il presidente degli Stati Uniti Truman, la commissione UNSCOP e la risoluzione 181.

1 La lettera di Balfour

Il punto di riferimento essenziale per cogliere il nodo storico della questione arabo-israeliana è il 1917, allorquando Lord Arthur J. Balfour, ministro degli esteri inglese, annunciò sotto forma di una lettera inviata il 2 novembre a Lord Lionel W. Rothschild, presidente onorario della Federazione sionista, che il governo di Sua Maestà vedeva con favore la fondazione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico (Giovanni Codovini, 2004:1):

Foreign office, 2 novembre 1917

Caro Lord Rothschild

Sono lieto di comunicarLe, per incarico del governo di S.M., la seguente dichiarazione di simpatia per le aspirazioni ebraico-sionistiche, che sono state sottoposte al Gabinetto e da questo approvate: il governo di S.M. considera con favore la creazione in Palestina di una sede nazionale (national home) per il popolo ebraico ed adopererà i suoi migliori sforzi per facilitare il compimento di tale obiettivo, essendo chiaramente inteso che nulla sarà fatto che possa recare pregiudizio ai diritti civili e religiosi delle Comunità non ebraiche esistenti in Palestina o ai diritti e allo Statuto politico di cui godono gli ebrei in ogni altro paese.

Le sarò grato se Ella vorrà portare tale dichiarazione a conoscenza della Federazione sionistica

F.to Arthur J. Balfour

Ma come creare un focolare nazionale ebraico senza colpire le popolazioni locali arabe? Per Alain Gresh la Gran Bretagna non potrà mai risolvere questa contraddizione ed essa sarà all’origine del conflitto più lungo che il mondo contemporaneo abbia conosciuto. Infatti, la dichiarazione Balfour è la risposta a diverse preoccupazioni del governo di Londra. Quando sul continente la guerra si intensifica, il problema è guadagnare la simpatia degli ebrei per via del loro potere economico e politico. La Gran Bretagna però, nel rassicurare il movimento sionista, persegue anche un obiettivo più strategico: il controllo del Vicino Oriente. Infatti, sempre secondo Gresh, per Londra la Palestina “protegge” il fianco est del canale di Suez, linea vitale tra le Indie, il gioiello dell’impero, e la madrepatria. Il patrocinio accordato al sionismo permette al governo britannico di ottenere un controllo totale sulla Terra Santa. Ma i britannici non si sono però accontentati di fare delle promesse al movimento sionista, ne hanno fatte anche ai dirigenti arabi (Gresh, 2004:17).

La Conferenza di Sanremo, convocata il 25 aprile 1920, attribuì alla Francia il mandato sulla Siria (compreso il Libano) e alla Gran Bretagna i mandati sulla Palestina e l’Iraq, con l’obbligo di applicare la dichiarazione di Balfour.

In particolare, l’Iraq fu separato dalla Siria, a sua volta divisa tra Gran Bretagna Francia e così: alla prima venne assegnato il terzo più meridionale del territorio siriano con il nome di Palestina; alla seconda fu assegnato il restante territorio con il nome di Siria. Poi entrambi suddivisero i loro territori mandatari (Codovini, 2004:5).

Per quanto riguarda la situazione dei territori sotto il mandato britannico, troviamo i figli dello sceriffo Hussein sui troni dell’Iraq e della Transgiordania (sotto lo stretto controllo di Londra) e l’Egitto, formalmente indipendente dal 1922.

Oltre a riconoscere il diritto delle potenze occidentali a stabilire il controllo sui paesi ex-ottomani, il sistema dei mandati costituisce la prima visibile vittoria internazionale del movimento sionista, e di Chaim Weizmann, che alla morte di Theodor Herzl (fondatore del movimento sionista, primo congresso a Basilea, Svizzera, nel 1897, vent’anni prima della lettera di Balfour) era diventato il riferimento del sionismo politico. Weizmann, che già pensa alla rivendicazione di Eretz Israel, intesa come “Grande Israele”, (Eretz Israel, letteralmente “Terra di Israele”, assume nel tempo il significato di Stato di Israele sul territorio di tutta la Palestina storica, 0 “Grande Israele”), per adesso chiede che Londra applichi la Dichiarazione Balfour. (Margherita Platania, 2005:27).

Adesso, per Gresh, tutti gli attori del dramma palestinese sono al loro posto: la potenza dominante, la Gran Bretagna, che vuole mantenere il suo controllo su una regione strategica, ricca di petrolio, con un crescente ruolo economico e militare; il movimento sionista, forte del suo grande primo successo diplomatico, che organizza l’immigrazione in Palestina; gli arabi della Palestina, che ancora non vengono chiamati “palestinesi”, i quali cominciano a mobilitarsi contro la dichiarazione di Balfour; infine, i paesi arabi, per la maggior parte sotto influsso britannico, che gradualmente verranno coinvolti nelle questioni palestinesi.

Alla Gran Bretagna, dunque, spettava l’arduo compito di offrire condizioni politiche, amministrative, economiche e sociali tali da assicurare la costituzione di un focolare nazionale ebraico e la salvaguardia dei diritti civili e religiosi di tutti gli abitanti della Palestina, a prescindere dalla razza e dalla religione. Questo appena descritto era una delle clausole che la neonata Società delle Nazioni (la futura ONU) nel luglio del 1922 aveva affidato agli inglesi (Fraser,2002:14)

Come afferma Thomas G. Fraser, i problemi associati a una simile linea politica erano già venuti a galla sottoforma di gravi disordini da parte degli arabi nel 1920 e nel 1921, rivolti sia contro il governo britannico che contro gli insediamenti ebrei. Di fronte a tutto questo malcontento, i britannici cercarono di rassicurare gli arabi con un memorandum emanato nel 1922 dal Ministro delle Colonie, Winston Churchill. Il memorandum ridefinì l’espressione “focolare nazionale”, che con quel documento diventava “un centro verso il quale il popolo ebraico nella sua interezza, sulla base della religione e della razza, possa provare interesse e orgoglio”. Ciò ridimensionava notevolmente le speranze sioniste sullo sviluppo del loro focolare nazionale che, durante questi anni, accrebbe le sue dimensioni, anche se non in maniera particolare: nel 1922 gli ebrei raggiungevano il numero di 83.790 su una popolazione totale di 752.048 abitanti; nel 1929 erano 156.481 su 992.559 (Fraser, 2002:15).

2 La gestione si complica

Fino al 1939 la Gran Bretagna favorisce senza limitazioni l’insediamento degli ebrei in Palestina e la loro organizzazione autonoma. Già dal 1917 l’Yishuw (nome dato alla colonia ebraica insediata in Palestina) inizia la sua marcia alla volta dello stato. Il testo del mandato prevede la creazione di un’Agenzia ebraica, per interloquire con l’autorità mandataria. Essa sarà un vero e proprio governo parallelo, che si impegnerà in particolare ad accelerare l’immigrazione: poiché i britannici accettano che solo i sionisti abbiano la competenza di scegliere i candidati, le formalità si svolgeranno nei locali del movimento sionista nel mondo, non nei consolati britannici. Questi immigranti arrivano, sostanzialmente, dalla Russia e dall’Europa centrale, in fuga dai pogrom. Inquadrati da militanti convinti, sperano di costruire una nuova vita. Tuttavia le cifre dell’immigrazione (per lo meno prima dell’arrivo di Hitler al potere in Germania nel 1933) non sono così esaltanti per il movimento sionista. Se lasciati liberi di scegliere, la grande maggioranza degli ebrei di Russia e dell’Est preferiscono il Nuovo Mondo, USA, alla Terra Santa,  tra il 1870 e il 1927 il numero degli ebrei negli Stati Uniti passa da 250.000 a 4.000.000 (Gresh, 2004:21).

La situazione che va delineandosi vede da una parte gli ebrei che comprano le terre per insediarsi e, dall’altra, i palestinesi che non vedono di buon occhio il numero crescente di ebrei nella loro regione. La causa profonda del conflitto è l’insediamento di una nuova popolazione su di un territorio già occupato, insediamento non accettato dall’antica popolazione del luogo. Si può giustificare – del tutto o in parte – tale insediamento, ma non lo si può negare. Così pure si può giudicare giustificabile o no il rifiuto dell’antica popolazione araba (Rodinson, 1969:178).

Così, nell’agosto del 1929, dopo un’incessante polemica riguardante riti e simboli religiosi (es. il restauro dell’Haram al-Sharif) la tensione esplose in gravissimi tumulti. Le sommosse provocarono molte morti e altrettanti feriti, particolarmente nella città di Hebron. Questo evento traumatico nei rapporti arabo-israeliani esacerbò, da allora in poi, le paure, i sospetti ed i pregiudizi reciproci (kimmerling, Migdal, 1994:31).

Bisogna ricordare che, in questi anni, il muftì di Gerusalemme (il muftì era il presidente di un Supremo consiglio musulmano, che aveva lo scopo di coordinare le attività religiose della comunità araba in Palestina) era Haj al Husseini, futuro alleato di Hitler e ostile all’ebraismo.

A seguito delle violente sommosse appena indicate, molti responsabili britannici, sul posto o in Gran Bretagna, sono convinti di una necessità di un mutamento di rotta che passi attraverso la restrizione dell’immigrazione e dell’acquisto di terreni da parte degli ebrei. Il ministero delle colonie prepara nell’ottobre del 1930 un Libro bianco che riprende queste proposte. Ma Weizmann mette in campo tutte le sue relazioni, Ben Gurion consulta il capo del governo britannico e ottiene una garanzia sulla libertà di immigrazione e di acquisto dei terreni, definita dagli arabi “lettera nera”. Il primo ministro britannico discute anche con il numero uno sionista su come privilegiare gli ebrei negli accordi, a detrimento del principio di parità (trattamento egualitario degli ebrei e degli arabi) affermato pubblicamente (Gresh, 2004:46).

Sempre per gresh il movimento deve questo clamoroso successo al suo savoir faire, ai suoi contatti politici, alla sua conoscenza del sistema politico britannico. I sionisti hanno più opportunità di farsi ascoltare degli esponenti arabi o palestinesi, la cui cultura, le cui tradizioni, il modo stesso di negoziare sono estranei agli europei. I sionisti sono occidentali che parlano a occidentali. Questa risulterà una carta vincente a ogni tappa del conflitto più lungo del XX secolo.

Nel 1933 in Europa erano in atto dei cambiamenti che stavano per cambiare la storia del conflitto arabo-israeliano. In Germania Adolf Hitler era diventato cancelliere instaurando subito dopo la sua dittatura basata sull’antisemitismo. gli ebrei iniziarono ad abbandonare in massa l’Europa, soprattutto dalla Polonia e dalla Romania. Le restrizioni che gli Stati Uniti avevano imposto all’immigrazione lasciarono come unica opzione la Palestina. Nel 1936 la popolazione ebraica aveva raggiunto la cifra di 370.483 persone su un totale di 1.336.518 abitanti. La reazione degli arabi a questa nuova ondata migratoria fu inevitabile (Fraser, 2002:17).

E’ in questo contesto che scoppia la grande rivolta del 1936-39, personificata da Ezzedine el-Qassam (che già dal 1925 aveva dato vita ad un’associazione armata segreta). Nel 1936 viene creato l’Alto comitato arabo che, per la prima volta, riunisce tutte le correnti palestinesi. Il 15 aprile il paese si lancia in uno sciopero generale rivendicando, in particolare, il blocco dell’immigrazione ebraica. Disobbedienza civile, rifiuto di pagare le imposte, manifestazioni scandiscono il movimento, mentre si moltiplicano le azioni di guerriglia. Lo sciopero dura 170 giorni. Il movimento si arresta in seguito ad un appello congiunto dei sovrani dell’Arabia Saudita, dell’Iraq e della Transgiordania “ad avere fiducia nelle buone intenzioni della nostra amica, la Gran Bretagna”. Il governo britannico (rapporto Peel) propone la divisione della Palestina in due parti, uno ebraico, l’altro arabo, destinati entrambi ad essere indipendenti, ma con Gerusalemme sotto il mandato britannico. Indignati da questa offerta, i palestinesi rilanciano il movimento a partire dal settembre 1937. questa volta è una vera e propria rivolta popolare armata, con centinaia di gruppi che fanno azioni sia contro le forze britanniche, sia contro le colonie ebraiche. Nonostante la mancanza di una centralizzata, nonostante le divisioni, nonostante lo scarso armamento, la resistenza continuerà fino al 1939 e mobiliterà parecchie migliaia di soldati britannici. Solo dopo gli accordi di Monaco del 1938 fanno in modo che Londra possa inviare truppe per domare i ribelli (Gresh, 2004:25.26).

Gresh continua stimando il bilancio della rivolta. Nelle file arabe la situazione è tragica: da 3000 a 6000 morti e migliaia di arresti e deportazioni (9000 prigionieri nel 1939), inoltre vengono distrutte più di duemila case. I palestinesi sono, adesso, privi del tutto della classe dirigente. Per i coloni ebrei, paradossalmente, la rivolta rafforza l’infrastruttura edificata in Palestina e le fondamenta dello stato in gestazione. Si assiste ad un ampliamento dell’Haganah (letteralmente “difesa”, è la formazione militare più importante precedente alla formazione dello Stato ebraico, nata in Palestina nel 1920).

L’imminenza della guerra rese più necessario che mai assicurarsi il favore degli arabi, non solo perché la Palestina stava impegnando un numero eccessivo di truppe, ma perché la Gran Bretagna aveva il bisogno di assicurarsi il petrolio mediorientale e le vie di comunicazione verso l’India, l’Australia e l’Oriente. Una nuova dichiarazione politica fu preparata dal ministro delle colonie, Malcom MacDonald; essa rappresentò in modo indubitabile la fine dell’impegno britannico verso la causa ebraica. Pubblicata poco prima dell’inizio della guerra mondiale, stabiliva che dopo dieci anni la Palestina, nella sua interezza, sarebbe diventata indipendente. L’immigrazione degli ebrei sarebbe stata limitata a 75.000 persone, confermando così la loro condizione di minoranza, e la gran Bretagna avrebbe considerato concluso il suo obbligo di favorire la costituzione del focolare nazionale. Haj Amin, allora in esilio, non colse l’occasione rappresentata dall’offerta di MacDonald, nonostante le notevoli concessioni ai palestinesi che conteneva. La sua scelta di allearsi con la Germania  provocò un danno incalcolabile alla causa palestinese. (Fraser, 2002:18).

Gli orrori della guerra e la supremazia che gli Stati Uniti stavano per esercitare negli affari globali cambiarono radicalmente la situazione del popolo ebraico.

La tragedia ebraica, la Soah, aveva prodotto uno spaventoso bilancio: oltre sei milioni di ebrei massacrati; tre milioni di ebrei polacchi, un milione e mezzo di ebrei russi, cinquecentomila ebrei rumeni, più di duecentomila ebrei cecoslovacchi, duecentomila ebrei tedeschi, ottantamila ebrei francesi e, infine, circa duecentomila ebrei olandesi, austriaci, belgi, greci, italiani e jugoslavi. I sopravvissuti allo sterminio erano persone private delle loro anime, di uno spirito che gli aiutasse a ricostruire e rianimare il passato. Eppure un’aspirazione ebraica, uscita indenne dalla Shoah, c’era: il sionismo. I sionisti, infatti, dissero agli ebreid’europa vaganti alla deriva, che essi non erano solo desiderati, ma indispensabili perché erano ebrei (Codovini, 2004:17).

Il “popolo di Israele” si sente così segnato nella carne e nello spirito, così provato e reso differente dal tardivo interesse della comunità internazionale nei suoi confronti, che il sionismo realmente sembra, per tanti, il solo spiraglio e la sola possibilità di salvezza, di sicurezza, di accoglimento definitivo (Platania, 2005:38).

Come spiega chiaramente Gresh, nell’ottobre del 1945 comincia quella che viene chiamata  “la rivolta”. I tre gruppi armati ebrei (Haganah, Irgun e Lehi) si uniscono attaccando obiettivi militari in Palestina. I più significativi di questi attacchi sono quello del 17 giugno 1946, quando saltano in aria undici ponti che collegano la Palestina ai paesi più vicini e, il 22 luglio dello stesso anno, uno “spettacolare” attentato dell’Irgun contro l’hotel King David, quartiere generale militare e amministrativo britannico, provoca un centinaio di morti.

3 Stati Uniti e ONU entrano in gioco

Negli Stati Uniti la responsabilità finale nelle scelte di politica estera ricade sul presidente Harry S. Truman, che subentrò alla Casa Bianca alla morte di Roosevelt. La centralità della posizione di Truman faceva prevedere che sarebbe stato sottoposto alla pressione dei gruppi sionisti americani e, in effetti, tra il 1945 e il 1948, essà aumentò in modo costante. Molto importante fu il consiglio di Niles (consigliere personale – di Truman – molto vicino al sionismo) che si dovesse fare qualcosa per quelle persone sopravvissute al genocidio, perché Truman si fidava delle sue capacità di giudizio e della sua moderazione, che lo differenziavano in positivo rispetto al rumore di gran parte della campagna di pressione cui il presidente era sottoposto. La posizione del presidente lo rendeva scarsamente sensibile alla causa araba in Palestina o disposto a condividere la difesa che ne faceva il Dipartimento di stato; le sue amicizie e i suoi sentimenti, combinati alle esigenze politiche del partito, facevano prevedere che avrebbe risposto positivamente alla causa ebraica (Fraser, 2002:32).

Londra 18 febbraio 1947, il governo britannico annuncia la sua determinazione di portare la questione della Palestina davanti alle Nazioni Unite che, in questo contesto creano un’altra commissione (la diciassettesima a partire dal 1917 a rivolgere la propria attenzione al destino della Palestina): lo United Special Commitee on Palesatine –UNSCOP- che riunisce i rappresentanti di undici paesi. La commissione è boicottata  dall’Alto comitato arabo mentre l’Agenzia ebraica, al contrario, la circonda di tutte le attenzioni. Tre elementi sono destinati a conquistare la maggioranza  dei membri dell’Unscop e a condurli a sostenere la spartizione della Palestina  e la creazione di uno stato ebraico: la tragedia dei clandestini (Exodus); il successo della colonizzazione; la visita dei campi della morte (Gresh, 2004:55).

Il 25 novembre il piano di maggioranza dell’Unscop fu sottoposto al comitato ad hoc sulla questione palestinese, che lo approvò con venticinque voti contro tredici, ma con diciassette astenuti e due assenti; se questo fosse stato il voto dell’Assemblea generale, la proposta sarebbe stata bocciata, perché si era al di sotto della necessaria maggioranza di due terzi. Essendo il futuro dello stato chiaramente dipendente dalle intenzioni di voto di un ristretto numero di paesi, l’Agenzia ebraica organizzò una campagna per la vita o la morte. Ancora una volta fu decisivo il legame con gli americani. Truman, infatti, sollecitò alcuni suoi delegati per accaparrarsi i voti di: Grecia, Haiti, Cina, Ecuador, Liberia, Honduras, Paraguay e Filippine. La campagna di Truman ebbe l’effetto sperato perché quando l’assemblea generale votò, il 29 novembre, il piano di spartizione fu approvato dalla maggioranza di due terzi (Fraser, 2002:45).

Come sostiene Gresh, quale che fosse stato il voto delle nazioni Unite, lo stato di Israele sarebbe stato creato. Esisteva infatti virtualmente fino alla fine degli anni trenta. Eppure la decisione dell’ONU è importante, perché conferisce legittimità al progetto sionista. Essa fissa anche il principio di qualunque soluzione in Palestina: due popoli, due stati. Nel 1988, quando proclameranno la nascita del loro stato, i palestinesi faranno riferimento  a questa risoluzione 181 del 29 novembre 1947.

Conclusioni

Uscire vittoriosi da uno scontro come la Grande Guerra, oltre numerose atrocità anche tra le file dei vinti, comporta la partecipazione alla spartizione della “torta”. La Gran Bretagna, che riteneva fondamentale per i suoi affari i territori limitrofi al canale di Suez, cercò in tutti i modi di ottenere il mandato proprio in quei territori.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, accadde lo stesso. Infatti Noam Chomsky ci ricorda che acquisire il controllo unilaterale delle regioni medio orientali produttrici di petrolio non è un obiettivo di poco conto. Quando gli Stati Uniti divennero una vera e propria superpotenza negli anni quaranta, la leadership politica vide la regione come l’area strategicamente più importante del mondo una enorme fonte di potere strategico, e uno dei maggiori obiettivi materiali della storia del mondo oltre che probabilmente il più ricco obiettivo del mondo nel campo degli investimenti stranieri un obiettivo che gli Stati Uniti intendevano tenere per sé e per il loro alleato britannico, nel Nuovo Ordine Mondiale che si andava allora dispiegando.

Le diverse soluzioni per risolvere la questione in Terra Santa hanno avuto sempre un secondo fine e, di conseguenza, le scelte prese dai potenti di turno sono sempre passate sopra le popolazioni.

Come ho potuto notare nelle prime lezioni del corso “cultura e conflitti nell’area mediterranea”, che affrontavano le varie teorie sul nazionalismo, nessuno -riferendosi al proprio paese- ha lontanamente pensato di costruire il proprio paese tracciando delle linee corrispondenti a labili confini. Purtroppo questo sistema è spesso utilizzato da chi, trovandosi in una posizione dominante, ha la facoltà di poterlo utilizzare per altri popoli e altri territori. Fino a quando queste scelte verranno effettuate in base a logiche economiche conflitti come quello raccontato in queste pagine potranno ripetersi, nucleare permettendo, all’infinito.

Bibliografia

CODOVINI G., Storia del conflitto arabo israeliano palestinese, Milano, Mondatori, 2004.

FRASER T. G., Il conflitto arabo-israeliano, Bologna, Il Mulino, 2002.

GRESH A., Israele, Palestina Le verita di un conflitto, Torino, Einaudi, 2004.

KIMMERLING B., MIGDAL J. S., I palestinesi: la genesi di un popolo, Firenze, La nuova Italia, 1994.

PLATANIA M., Israele e Palestina Dalle origini del sionismo alla morte di Yasser Arafat,Roma, Newton & Compton, 2005.

RODINSON M., Israele e il rifiuto arabo. Settantacinque anni di storia, Torino, Einaudi, 1969.

Sitografia

CHOMSKY N., La colonizzazione del Medio Oriente:le sue origini e il suoprofilo. http://www.tmcrew.org/archiviochomsky/me2_concezione.html

marzo 18, 2010. Tag: , , , , , , . politica, religione.

2 commenti

  1. Francesco replied:

    Mi sembra un racconto molto ben circostanziato. Ben fatto!

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